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«Francoforte sul Meno!» sclamò una donnetta giovane e graziosa; «vi sarà facile signor podestà chiarirvi sul conto del forastiero, che per me ritengo sia uomo dabbene; non avete che a far venire Gregorio, il quale stette a lavorare colà buona pezza; egli potrà facilmente chiarire la cosa.»

Intanto le fisionomie si erano di già rasserenate, era scomparso il sospetto, e quando venne Gregorio, la cosa prese tosto buonissima piega. Questi era uomo di cinquant’anni all’incirca, di colorito bruno, un vero tipo di fisionomia italiana. Parlò disinvolto, quale uomo esperto del mondo; mi disse che era stato al servizio della casa Bolongaro, e che era lieto di potere avere da me notizie di quella famiglia, e di una città che ricordava sempre con piacere. Per buona sorte il suo soggiorno a Francoforte coincideva cogli anni della mia gioventù, ed io ebbi il doppio vantaggio di potergli parlare delle cose quali stavano in allora, e delle variazioni che erano succedute di poi. Gli parlai di tutte le famiglie italiane che io conosceva benissimo, ed egli fu tutto lieto di udirne vari particolari, come per esempio il signor Alessina avesse festeggiato nel 1774 le sue nozze d’oro, e fosse stata coniata in quella occasione una medaglia che io posseggo, ed egli poi ricordava benissimo, che la consorte di quel ricco negoziante nasceva Brentano. Seppi pure dargli conto dei figliuoli, dei nipoti, di quei coniugi; dirgli come fossero stati educati, quali fossero le loro condizioni attuali, chi avessero sposato, quanti fossero attualmente i membri della famiglia.

Allorquando io ebbi data risposta ad ogni sua domanda, il dabben uomo era quasi commosso, gli altri si esilararono sempre più, e siccome non comprendevano il nostro discorso in tedesco, fu forza a Gregorio doverlo interpretare almeno in parte nel loro dialetto.

«Signor podestà, finì egli per dire, io sono persuaso che questo signore è persona dabbene, agiata, e colta, la quale viaggia per la sua istruzione. Dobbiamo lasciarlo