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Il 1 giugno 1787.
Il mio domestico di piazza nel recarmi il mio passaporto vidimato, mi disse lamentando la mia partenza, che dal Vesuvio era sboccato un torrente copioso di lava, il quale si avviava verso il mare; che già era sceso lungo le ripide pendici del monte, e che in pochi giorni sarebbe arrivato alla spiaggia. Ed ora io mi trovo in grande incertezza. Ho destinata la giornata d’oggi a fare le visite di congedo, di cui sono debitore verso tante persone, le quali mi furono larghe di ogni cortesia, e vedo già quanto mi succederà domani. Non è possibile il sottrarsi totalmente alle relazioni di società; ma intanto mentre vi si trova piacere, vi distraggono queste dallo scopo serio della vita. Sono di pessimo umore.
Alla sera.
Anche le mie visite di congedo non furono senza recarmi soddisfazione, nè senza giovare, desse pure, alla mia istruzione; mi si fecero vedere molte cose ancora, alle quali non si era pensato finora, ed il cavaliere Venuti specialmente, mi fece vedere molti tesori nascosti, ed ammirai ancora una volta il suo Ulisse, propriamente di raro pregio, tuttochè mutilato. Mi portò, prima che io prendessi congedo da lui, nella fabbrica delle porcellane, dove cercai imprimermi nella memoria l’Ercole, e dove mi ricreai ancora una volta la vista, nel contemplare i vasi della Campania.
Propriamente commosso quando gli strinsi la mano nel partire, mi manifestò il vivo desiderio ch’egli avrebbe avuto che io avessi prolungata ancora la mia stanza a Napoli. Il mio banchiere, presso il quale mi presentai al momento in cui stava per andare a pranzo, non mi voleva lasciare partire; e l’invito mi sarebbe fuor di dubbio tornato accetto, quando la lava non avesse esercitata