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noma sporgenza, la quale valga ad offerire mezzo di salvezza.
Resi edotti allora della condizione in cui ci trovavamo, non potemmo a meno di darcene serio pensiero noi pure a nostra volta, imperocchè, ad onta non permettesse l’oscurità che andava crescendo avvertire il pericolo, ci accorgevamo però benissimo, che il legno si andava accostando sempre più agli scogli, i quali apparivano sempre più neri, mentre un barlume di luce crepuscolare si scorgeva tuttora sulla superficie del mare. Non soffiava ombra di vento; si sollevavano in alto fazzoletti, pannilini leggierissimi lasciandoli liberi di svolazzare, ma punto non si muovevano. L’inquitudine, l’irritazione fra i passeggieri andavano crescendo. Le donne ed i ragazzi non erano già inginocchiati sul ponte a pregare; lo spazio vi era troppo angusto perchè vi si potessero muovere; stavano serrati gli uni contro gli altri, ed erano le donne appunto ed i ragazzi quelli che muovevano maggiori rimproveri al capitano, mentre gli uomini erano intenti a cercare mezzo di salvezza. Si dava libero corso a tutti i rancori racchiusi nell’animo durante il viaggio; si rimproveravano al capitano il caro prezzo del passaggio sopra un legno mediocre; il cattivo vitto, il suo contegno, con già aspro per dir vero, ma bensì muto e silenzioso. Non aveva voluto dare conto a veruno della sua condotta, e la sera precedente ancora, si era ostinato a serbare un assoluto silenzio intorno alle sue manovre. Ora lo si accusava, al pari del piloto, di non essere entrambi che mercatanti avidi di guadagno, ignari affatto di navigazione, i quali, soltanto per amore del denaro, portavano per la loro incapacità ed imperizia, a certa rovina persone ed averi. Il capitano taceva, e pareva pensare tuttora a mezzo di salvezza; io intanto, che fin dalla giovinezza ho sempre odiata più che la morte l’anarchia, non potei mantenere più a lungo il silenzio. Uscii fuori, e parlai a tutta quella gente colla stessa tranquillità d’animo colla quale mi ero rivolto alla folla la quale mi attorniava a