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degli uomini sia portata ad esagerare la grandezza, e l’imponenza delle cose che la colpiscono. Ho udito le mille volte lagnanze perchè un oggetto visto in realtà non corrispondesse alle narrazioni che se n’erano udite. L’imaginazione e la realtà stanno in relazione tra loro come la poesia e la prosa; quella abbellisce, magnifica le cose, questa le descrive quali stanno. Altrettanto si può dire dei pittori di paesaggio del secolo XVI, paragonati a quelli dei giorni nostri. Un disegno di Iodoco Momper, posto al confronto di una vista presa da Kniep, renderebbe evidente il contrasto.
Ci stavamo trattenendo in tali discorsi, mentre Kniep aveva cominciato a disegnare le coste, tuttochè non ne trovasse l’aspetto dei più attraenti.
Non tardai però molto ad essere colto, questa volta ancora, dal male di mare, e su questo legno non avevo più i comodi che porgeva l’altro; il camerino però era abbastanza ampio per dare ricetto a parecchie persone, e non vi difettavano neppure buoni materassi. Tornai a riprendere la posizione orizzontale, e Kniep mi veniva riconfortando anche questa volta, con pane buono e vino rosso. In quella triste condizione il nostro viaggio di Sicilia non mi compariva in complesso sotto buona vista. Non avevamo rilevato altro se non inutili sforzi della razza umana, per mantenersi contro le violenze della natura, contro l’azione distruggitrice del tempo, non che contro le loro gare intestine. Cartaginesi, Greci, Romani, si erano succeduti gli uni agli altri su quel suolo, e vi si erano combattuti e distrutti a vicenda. Selinunte trovasi rovinata metodicamente, non bastarono due mila anni ad atterrare i templi di Girgenti, mentre furono sufficienti poche ore, se non pure un istante, a rovinare Catania e Messina. Se non che cercai a non lasciare prendere predominio a queste tristi considerazioni, originate del mal di mare, e dall’agitazione delle onde.