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tura, ed il cicerone senza turbarsi menomamente proseguì l’enumerazione delle sue meraviglie; ed io godeva la doppia soddisfazione di sentirmi libero, e di potere contemplare i prodotti rari dei monti della Sicilia dei quali mi ero dato già tanto pensiero, impiegati nella decorazione architettonica di uno splendido edificio.
La cognizione precisa delle varie parti di tutta quella decorazione, mi portò a scoprire non essere altro il così detto lapis lazzuli, se non un prodotto calcare, per dir vero di natura finissimo, e della più bella tinta che io abbia mai vista finora. Non cessano però per questo quelle colonne dì essere preziosissime, imperocchè è d’uopo ricorrere ad una grande quantità di materiali per rinvenire pezzi i quali presentino quella bellezza, quella uguaglianza di tinte, e quindi sorge la difficoltà di lavorarli, di pulirli, di far loro prendere il lucido. Se non che, quei padri riuscivano a superare tutte le difficoltà.
Il console intanto non aveva cessato di tenere discorso del pericolo al quale io ero stato esposto. Diceva che il governatore, spiacente che io fossi stato fin dal primo momento testimonio della sua scena con il Maltese, si era proposto di farmi accoglienza distinta, e che tutto quel suo disegno aveva minacciato di essere compromesso, dalla mia dimenticanza di aderire al suo invito. Dopo avere aspettato a lungo, seduto a tavola, il vecchio despota non aveva potuto nascondere più il suo malumore, e tutti i convitati stavano nell’ansietà di dover essere testimoni di una brutta scena quando sarei arrivato, ovvero dopo finito il pranzo.
Intanto il nostro cicerone continuava a fare ogni sforzo per mantenersi la parola; ci aprì le stanze riservate, da belle proporzioni queste, e ci fece vedere quanto contenevano di prezioso, e fra le altre cose vari belli arredi di chiesa. Non vidi però oggetti in metalli nobili, come neppure oggetti d’arte pregevoli, nè antichi nè modermi.
La nostra gara di doppio discorso, italiano e tedesco, imperocchè il sacerdote ed il sagrestano parlavano la