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commercio. In questo particolare potei fare un complimento sincero a sua Eccellenza, coll’accertarlo che tutti i Messinesi gli erano grati delle sue premure a quel proposito. Badate però, prese egli allora a brontolare, che dapprima si lagnarono aspramente per la severità colla quale intendevo fossero eseguiti gli ordini dati per il loro vantaggio. Parlai delle saggie viste del governo, delle provvidenze date a fin di bene, le quali non possono essere apprezzate a dovere, se non con il tempo, e cose simili. Mi domandò allora se io avessi visto di già la chiesa dei gesuiti, ed avendo io risposto negativamente, disse che intendeva farmela vedere egli stesso, con tutte le sue dipendenze.

Mentre facevamo questi discorsi ad intervallo, e fra alcune pause, osservai che nessuno fra i convitati pronunciava una parola, e che non facevano altri movimento se non quelli che erano indispensabili per portare i cibi alla bocca. E quando ci alzammo di tavola, e fu servito il caffè, si schierarono tutti contro le pareti, quasi altrettante statue di cera. Mi accostai al sacerdote il quale era stato incaricato di farmi vedere la chiesa, per ringraziarlo in anticipazione della sua pena, ed egli mi rispose con tutta umiltà, che stava interamente agli ordini di Sua Eccellenza. Volsi allora la parola ad un giovane forestiero che mi stava vicino, se non chè questi pure, tuttocchè fosse francese, mi parve stasse colà molto a disagio, imperocchè desso pure era muto, e pareva impietrito al pari di tutti gli altri convitati, fra cui riconobbi varie persone le quali erano state testimoni il giorno prima, della scena con il Maltese.

Il governatore si allontanò, ed il sacerdote, dopo pochi istanti mi disse essere l’ora di andare. Mi portò sulla porta della chiesa dei gesuiti, la cui facciata, secondo lo stile architettonico di quei padri, sorge ricca ed imponente. Venne un portinaio, il quale c’invitò ad entrare, ma il sacerdote mi trattenne, dicendomi essere conveniente aspettare il governatore; questi non tardò a comparire, si