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Viddi allora meglio la persona; era di età quasi decrepita, col capo curvo, aveva occhi neri, sotto sopraciglia grigie, ispide, e girava lo sguardo tutt’attorno, ma il suo umore si era rasserenato. Mi fece sedere, e senza punto interrompere la sua occupazione, mi rivolse varie domande alle quali procurai dare risposta, e finì per dirmi di considerarmi quale invitato alla sua mensa, per tutto il tempo che mi sarei fermato a Messina. Il console era soddisfatto al pari di me, e ben più di me ancora, conoscendo desso il pericolo al quale eravamo sfuggiti, ed uscimmo lieti dalla caverna di quella specie di fiera, senza che mi rimanesse vaghezza per certo, di visitarla una seconda volta.
Messina, domenica 13 maggio 1787.
Svegliandoci il mattino con un sole splendidissimo, in una piacevole abitazione, ci trovammo pur sempre nella disgraziata Messina. Può dirsi addirittura ingrata la vista della così detta palazzata, serie di veri palazzi, la quale si stende uniformemente per la lunghezza di circa un quarto d’ora di cammino, lungo la passeggiata, la quale trovasi circoscritta da quelli. Tutti quei palazzi erano in pietra, di quattro piani, e di taluni sussiste tuttora la facciata fino al cornicione; altri rovinarono fino all’altezza del primo, del secondo, del terzo piano; in guisa, che tutta quella strada la quale dapprima doveva essere stupenda, porge attualmente l’aspetto della rovina, e della desolazione, scorgendosi la luce azurrina dei cielo a traverso di ogni finestra, imperocchè all’interno, i quartieri sono tutti totalmente rovinati.
Quella strada aveva avuto origine, dacche ad imitazione dei ricchi, i quali avevano colà innalzati palazzi grandiosi, i proprietari delle case limitrofe, anche modestissime, le avevano mascherate con facciate grandiose alla loro volta, in pietra da taglio; e tutte quelle costruzioni