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fuori da quella due testoline graziose di ragazze, con occhi nerissimi, capelli neri parimenti, ed inanellati, le quali, non appena si accorsero che avevamo avvertita la loro presenza scomparvero come il lampo; se non chè, avendole il console pregate di venire fuori, dopo alcuni istanti dedicati alla tavoletta, comparvero vestite di abiti di colori vivaci, i quali campeggiavano stupendamente, sul fondo di quella tenda verde. Dalle loro domande potemmo rilevare che ci ritenevano gente venuta dall’altro mondo, e cercammo colle nostre risposte a mantenerle in quella illusione. Il console descrisse il nostro arrivo quale avvenimento meraviglioso; la conversazione diventò animata, e tardammo a trovare modo ad uscire di là. Non fu che fuori della porta, che ci avvedemmo che in sostanza non avevamo visto l’interno della catapecchia, e che le graziosi abitatrici, ci avevano fatto dimenticare di osservare la natura della costruzione.


Messina, sabbato 12 maggio 1787.

Il console ci disse fra le altre cose, che se non addirittura indispensabile, era però cosa conveniente che ci presentassimo al governatore della città, vecchio di natura strana, e sommamente bizzarro, il quale, per i suoi capricci appunto, e per le sue stranezze, avrebbe potuto sia recarci giovamento, che farci danno; soggiunse il console, che il governatore gli sarebbe stato grato, se gli avesse egli portati stranieri distinti, anche nel caso non avessero questi abbisognato di nulla. Ci decidemmo a soddisfare il desiderio del nostro nuovo amico.

Entrati nell’anticamera, udimmo all’interno un chiasso, un rumore d’inferno, ed uno staffiere facendo un gesto da pulcinella, susurrò all’orecchio del console. «Cattiva giornata! momento pericoloso!» Ad onta di ciò entrammo e trovammo il vecchio governatore, il quale ci volgeva le spalle, seduto ad un tavolo presso la finestra. Teneva sul tavolo un grosso mucchio di carte vecchie, ingiallite,