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Venerdì 11 maggio 1787.

Oggi abbiamo preso congedo del nostro bravo vetturino, compensandolo con una generosa mancia, di suoi buoni servigi. Prima di lasciarci ci seppe ancora procurare un domestico di piazza, il quale si assunse l’incarico di portarci nel migliore albergo, non che di farci vedere tutte le rarità di Messina. Il locandiere, nel desiderio di vedere le sue stalle liberate al più presto dall’incommodo dalla nostra presenza, sì adoperò egli stesso a trasportare i nostri bagagli in una piacevole abitazione, vicina al quartiere più animato della città, vale a dire, fuori della città stessa; imperocchè la cosa va intesa nel modo seguente. Dopo l’immenso disastro che colpì Messina, di quarantadue mille abitanti che contava, ben trenta mille rimasero privi di tetto; la maggiore parte delle case erano crollate a terra; le mura che minacciavano rovina, di molte di quelle rimaste in piedi, non offerivano veruna sicurezza, e pertanto, si fabbricò in tutta fretta in un vasto campo, a settentrione di Messina, una città provvisoria, formata di baracche di legno, dalla quale vi potrete agevolmente formare un idea, rappresentandovi il Romerberg, di Francoforte, ovvero il mercato di Leipzig, durante la fiera; imperocchè, tutte quante le porte delle botteghe, dei laboratori sono aperte sulla strada, ed anzi molti mestieri si esercitano sul suolo della strada stessa. Del resto vi sono pochi edifici grandiosi, nè quasi abitazioni chiuse al pubblico, imperocchè gli abitanti vivono la maggior parte del tempo, a cielo scoperto. Sono gia tre anni che vivono a quel modo, e tutte quelle botteghe, quelle capanne provvisorie, quelle tende, esercitano una decisa influenza sul carattere degli abitanti. L’orrore eccitato da quell’immenso disastro, il timore di nuova sventura uguale, spingono a non darsi pensiero del futuro, a non badare che con leggerezza al presente. Venti giorni sono, e più precisamente il 21 di aprile, si ebbe timore di nuova di-