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dere la vista, se non chè anche questa posizione mi giovò a poco; che la bufera veniva propriamente da levante, sulla stupenda contrada che si stendeva sotto il mio sguardo fin verso il mare.
Potevo scorgere la lunga riviera da Messina a Siracusa, con i suoi golfi, con i suoi seni, ora totalmente liberi allo sguardo, ed in altri punti nascosti alquanto dagli scogli della spiaggia; quando mi alzai tutto sbalordito, viddi che Kniep non aveva perso il suo tempo; era riuscito a fissare sulla carta le linee principali di quanto la selvaggia bufera permetteva a stento a me di vedere, non chè di potere ritenere.
Tornati fra le zanne del leone d’oro, trovammo il nostro domestico di piazza il quale ci aveva voluto accompagnare nella nostra ascensione, e di cui avevamo durata fatica a sbarazzarci. Egli ci approvò molto di non avere tentata l’ascensione del monte, ma ci propose con viva istanza per l’indomani una passeggiata in mare agli scogli di Iaci, accertandoci, essere questa la gita la più piacevole che si potesse fare da Catania. Disse, che avressimo portato nella barca tutto quanto fosse necessario per fare un buon pranzo, e che sua moglie si sarebbe preso incarico della cucina, e di ogni cosa. Ci parlò di alcuni Inglesi i quali avevano fatta quella gita, accompagnati da una barca nella quale stava la musica, e che vi si erano molto divertiti.
Gli scogli di Iaci pungevano, per dir vero, vivamente la mia curiosità, ed avevo pure un desiderio grande, di potere raccogliere taluni di quei zoofiti bellissimi, che avevo ammirati presso il cavaliere Gioeni. Si poteva anche fare la cosa con minore apparato, lasciare la donna a casa sua. Se non che, lo spirito previdente dell’Inglese ottenne il sopravento, e rinunciammo, però non senza rincrescimento, ai zoofiti.