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lito fino in cima; il conte Bock il quale lascia il lettore nell’incertezza, non pervenne egli pure che ad una certa altezza, e la stessa cosa potrei dire di vari altri. Finora le nevi scendono ancora troppo al basso, e frapporrebbero troppi ostacoli all’ascensione. Se vorrete dar retta ad un mio consiglio, fatevi portare domattina per tempo ai piedi del Monte Rosso, e salite in cima a quello. Godrete una vista stupenda, e potrete osservare di dove abbia prese le sue origini, il torrente di lava, che disgraziatamente si diresse nel 1669, sulla nostra città. Vi ripeto che di là, la vista è stupenda, e la si può afferrare tutta a colpo d’occhio; in quanto al resto, per ora è meglio contentarsi di udirne la relazione.»
Catania, sabbato 5 maggio 1787.
Seguimmo il consiglio del cavaliere, partendo di buon mattino; e badando attentamente ai passi dei nostri muli, arrivammo nella regione dove le lave non vennero ancora spianate, uguagliate, ridotte a coltura. Sorgono confuse, in blocchi irregolari, in forma di tavole, fra cui duravano fatica i nostri animali a trovare il passo. Pervenuti al primo altipiano, di una discreta altezza, ci fermammo. Kniep disegnò con molta precisione la vista di quanto si offeriva al nostro sguardo; sul davanti la regione travagliata delle lave; a sinistra la doppia cima del Monte Rosso, e precisamente sopra di noi i boschi di Nicolosi, da cui emergeva la vetta del volcano ricoperta di neve, e sormontata da una leggiera colonna di fumo. Ci avvanzammo sempre maggiormente per la ripida china del monte; io scesi dal mulo, ed osservai essere il molo formato di roccie volcaniche, di tinta rossiccia, frammiste a ceneri, non che ad altri sassi. Sarebbe stato facile pervenire alla bocca del cratere, se un vento furioso non avesse contrastato ad ogni nostro passo; provai a deporre il mantello per andare avanti, ma mi trovavo sempre in pericolo di vedermi portato via il cappello, e di tenergli io dietro. Provai allora ad accovacciarmi, per potere go-