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Lunedì, 30 aprile 1787.
La strada che scende da Castrogiovanni è rapida, disastrosa, ci fu d’uopo portare per quella i nostri cavalli a mano. Il cielo era coperto di nubi, e potemmo osservare un curioso fenomeno in cima alle maggiori alture, dove il cielo listato di bianco, e di grigio, aveva aspetto quasi di materia solida, se non chè, come mai si potrebbe applicare quest’appellativo al cielo? La nostra guida ci disse che in quella direzione sorgeva l’Etna, la quale diventava visibile quando si squarciavano alcun poco le nubi, e che le striscie bianche e nere che vedevamo erano formate dalle nevi e dalle pendici del monte, di cui non si scorgeva però la maggior vetta.
Lasciammo a tergo in cima al suo monte isolato l’antica Enna, avviandoci per una valle lunga, lunga, solitaria, incolta, disabitata, abbandonata al pascolo di armenti, i quali cominciavano ad essere neri di pelo, di bassa statura, con corna piccoline, di forme snelle poi, e di aspetto vivace, quasi altrettante capre. Quelle buone bestie trovavano erba bastante a pascolare, se non che era loro contrastata questa in molti punti dalla presenza dei cardi selvatici. Queste piante hanno quivi tutta la facilità ad estendersi, a moltiplicarsi, ed occupano spazi, i quali basterebbero a formare le praterie di cospicui latifondi; sasebbe però facile il farle scomparire, estirpandole quali si trovano al presente, prima del loro fiorire.
Però mentre stavamo meditando questa guerra a morte ai cardi selvatici, dovetti osservare con nostra sorpresa, che questi non sono poi totalmente inutili. Trovammo in una bettola solitaria, dove ci fermammo per dar rinfresco alle nostre cavalcature, due gentiluomini siciliani i quali attraversavano in diagonale dessi pure l’isola, portandosi a Palermo per una lite. Provammo stupore nello scorgere quei signori intenti a cavare fuori, colla punta di piccoli coltelli da tasca, la polpa dell’estremità superiore delle