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Mi sforzai a ricercare quanti fossero le varietà, fra le piante che più si scostano, per la loro forma, le une dalle altre. Trovai sempre, più analogie che differenze, e qualora volessi addurre la mia terminologia botanica, lo potrei provare; se non che gioverebbe a nulla; mi procurebbe sempre nuovi pensieri, senza che io ne potessi trarre profitto. Intanto i miei proponimenti poetici erano svaniti, il giardino di Alcinoo era scomparso, e si era trasformato in un orto volgare. Perchè siamo sempre per tal guisa allettati da cose nuove, travagliati da desideri, che non riusciamo a soddisfare?


Alcamo, mercoledì 18 aprile, 1787.

Siamo partiti di buonissima ora da Palermo. Kniep ed il nostro vetturale avevano disimpegnato a dovere l’incarico che si erano assunto di preparare e disporre i bagagli. Salivamo lentamente la strada stupenda che avevano percorsa già nel recarci a S. Martino, e stavamo ammirando ancora una volta una fra le magnifiche fontane che sorgono lungo la via, allorquando ebbimo occasione di osservare la moderazione dei desideri del popolo di queste contrade. Il nostro garzone di stalla, portava appeso ad una coreggia un piccolo barile di vino, siccome sogliono praticare le nostre vivandiere, e quello sembrava dovere contenere vino abbastanza per alcuni giorni. Stupimmo pertanto, allorquando vedemmo il giovane aprire lo spandente delle fontana, e far sgorgare l’acqua nel barile. Domandammo con vero stupore da Tedeschi, che cosa stesse facendo? Se il barile non fosse pieno di vino? Ed egli rispose, colla più grande indifferenza, che il barile era vuoto per un terzo, imperocchè nessuno mai beveva vino schietto; essere meglio mescolarlo, perchè così diventava più leggiero allo stomaco; e che non si era poi certi, di trovare acqua dovunque. Intanto il barile erasi riempito, e dovettimo ammirare questo atto di temperanza, degno dell’antico Oriente.