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Palermo, lunedì 16 aprile 1787.

Dal momento che per fatto nostro siamo sotto la minaccia di dovere abbandonare fra breve questo paradiso, io vagheggiavo ancora la speranza di potere trovare oggi nel giardino pubblico un sollievo, a leggere nell’Odissea il mio argomento, ed a meditare in una passeggiata nella valle ai piedi del monte di S. Rosalia, il piano della mia Nausica, e di ponderare se quel soggetto porgesse carattere drammatico. E tutto ciò mi è riuscito, se non addirittura a dovere, però con molta soddisfazione. Ho meditata la tela, e non mi potei trattenere dallo svolgere ancora alcune scene, le quali maggiormente mi sorridevano.


Palermo, martedì 17 aprile 1787.

La è propriamente sventura, quella di essere perseguitato e tentato da ogni varietà di fantasie. Stamane mi sono portato per tempo nel giardino pubblico, col fermo divisamento di continuare ad occuparmi de’ miei sogni poetici; se non chè, io non aveva ancora cominciato a raccogliermi, che fui afferrato da un altra idea, la quale mi aveva preoccupato già nei giorni scorsi. La maggior parte delle piante che noi siamo assuefatti a vedere in casse di legno soltanto ed in vasi, protette inoltre per la maggior parte dell’anno dai vetri delle stufe, vegetano qui in piena terra, all’aria libera; e pertanto mentre acquistano tutto il loro sviluppo, sono più facili ad esaminare. Alla vista di tanti vegetali di forma nuova, o modificata, mi rinacque il mio antico capriccio; non sarebbe possibile cioè, lo scoprire in questa schiera di piante, la pianta primitiva, originaria? Deve pure questa esistere! Diversamente, come potrei riconoscere che tutti questi vegetali sono piante, qualora non si potessero riferire tutte ad un tipo?