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chi giorni da Palermo, raddoppiarono le loro istanze perchè io mi tratenessi più a lungo, o quanto meno facessi presto ritorno nella loro città, vantandomi specialmente i giorni meravigliosi delle feste di S. Rosalia, dicendo non essere possibile il vedere cosa più bella al mondo.

Il mio compagno, il quale già di buona pezza aveva desiderio di andarsene, pose fine al discorso con i suoi gesti ed io promisi di tornare l’indomani verso sera, per ritirare la lettera. Il mio compagno si rallegrò che ogni cosa fosse riuscita per il meglio, e ci separammo, contenti a vicenda, l’uno dell’altro.

Potete immaginarvi quale impressione abbia prodotta sopra di me quella famiglia povera, pia, ed educatissima. La mia curiosità era stata soddisfatta, se non chè, il contegno buono, naturale di tutte quelle persone, aveva destato in me un interessamento, il quale si accrebbe colla riflessione.

Pensai tosto alle conseguenze del mio passo. Era naturale che la mia comparsa, la quale aveva eccitata viva sorpresa al primo momento, desse luogo a pensare, a sperare, a quella famiglia quando sarei partito. Sapevo dall’albero genealogico che si trovavano tuttora in vita parecchi altri membri della famiglia; era naturale si diffondesse fra quelli, fra loro conoscenti la notizia della mia visita, di quanto avevo narrato. Io avevo bensì ottenuto il mio intento, se non chè mi rimaneva a cercare a trovare modo di porre termine decentemente a quell’avventura. Il giorno dopo, appena pranzato, mi recai alla casa di quei poveretti, e solo. Si meravigliarono di vedermi comparire così di buon ora; dissero che la lettera non era scritta ancora, e che di più, verso sera, sarebbero venuti alcuni parenti, i quali desideravano, dessi pure di fare la mia conoscenza.

Risposi che dovevo partire il mattino dopo per tempo; che avevo ancora parecchie visite a fare; che dovevo pure ancora preparare i miei bagagli; e che avevo preferito venire più presto, anzichè fallire all’appuntamento.