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vese appunto, il quale intendeva salire all’indomani, giorno di festa sul monte, e che dovendo uno di noi due rimanere sempre a casa, io ero venuto sù oggi. Mi rispose che potevo visitare, contemplare ogni cosa a mio piacere, e compiere le mie devozioni. Mi additò quale degno di di maggiore venerazione un altare nella grotta, a sinistra, e mi lasciò solo.

Guardai per le aperture di una graticella in ottone, istoriata a fogliami; vidi lampade accese davanti all’altare, m’inginocchiai, avvicinandomi meglio all’inferiata, e guardando fra i vani della stessa. Internamente vi era un altra graticella più leggiera, formata di fili di ottone, in guisa che a traverso le maglie di quella si potevano discernere gli oggetti che stavano al di là della graticola, e viddi, alla luce pacata e tranquilla di alcune lampade, una figura bellissima di giovin donna.

Aveva aspetto quasi di essere rapita in estasi; gli occhi semichiusi; il capo alquanto inclinato; e la mano diritta che sporgeva in avanti, ornata di ben molte anella alle dita. Non mi potevo saziare di contemplare quella dolce figura, la quale mi pareva porgere un attrattiva tutta speciale. Era vestita con un abito in lamina di piombo indorato, il quale imitava stupendamente un ricco broccato in oro. Il capo e le mani erano in marmo bianco; non oserei, per dir vero, accertare fossero di stile il più puro, ma però erano eseguite quelle, ed il tutto con tanta naturalezza, che si sarebbe detto vedere respirare, e muoversi quella figura.

Sorgeva a fianco di quella un piccolo angiolo, il quale sembrava volerle fare aria e fresco, con un ramo di una pianta di giglio.

Intanto i sacerdoti erano venuti nella grotta, avevano preso posto sugli stalli, ed avevano cominciato a cantare i vespri.

Presi a mia volta posto sur un banco, di fronte all’altare, e stetti alcun poco seduto ad ascoltare le salmodie; quindi, alzandomi, m’inginocchiai davanti all’altare, per