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testimonianza della nostra incapacità di potere vedere tutto, o piuttosto della nostra mancanza di pretese di riuscire a tanto, sovra tutto in tanta ristrettezza di tempo.


Palermo, mercoldì 4 aprile 1787.

Nelle ore del pomeriggio abbiamo visitata la valle fertile ed amena, la quale scende a Palermo dai monti che sorgono a mezzodì della città, e lungo la quale corre il fiume Oreto; ed anche ivi, un occhio pittorico ed una mano abile, può trovare il soggetto di un bel paesaggio, e Kniep scelse un punto, in cui l’acqua, è trattenuta da una steccaia a metà rovinata, ombreggiata da un gruppo di piante, al di là delle quali la vista si stende sulla parte superiore della valle, e sovra alcune case campestri.

La giornata stupenda di primavera, la fertilità di quelle campagne, dava a tutta quella contrada un aspetto di quiete e di tranquillità, che mi veniva alterrato dalla erudizione di un malaugurato cicerone, il quale mi narrava i particolari di una battaglia data di Annibale, e di altri fatti da anni succeduti in quella località. Mandai al diavolo la sua evocazione di tutti quegli spettri del passato. È già troppo, che i campi e le messi debbano essere da quando a quando calpestate, rovinate, dagli uomini e dai cavalli, senza che sia d’uopo farvi intervenire ancora gli elefanti; ed è un vero delitto il turbare i piaceri tranquilli dell’imaginazione, con quei ricordi orribili.

Il mio cicerone stupiva che io non tenessi conto delle sue cognizioni classiche, ma io non gli potei nascondere, come non mi andasse per nulla a sangue quella mescolanza del passato e del presente. Ma fù ben maggiore la sorpresa della nostra molesta guida, allorquando mi vide intento a far ricerca ed a raccogliere sassolini di tutte le varie specie che potei trovare sugli spazi lasciati asciutti dalle acque, nel letto del fiume. Però io non gli potevo spiegar come non vi sia metodo più sicuro di formarsi prontamente un idea precisa della natura di una contrada