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altro che bordeggiare, e sempre bordeggiare; dopo il mezzodì ci eravamo avvicinati alquanto alla costa occidentale, scorgendola distintamente dal Lilibeo al Capo Gallo, essendo limpidissima l’atmosfera, e splendido il sole.
Il nostro legno era preceduto da ambi i lati da un branco di delfini, ed era piacevolissimo il vederli ora cacciarsi sott’acqua, ora balzar fuori dalle onde, spiccando salti, e facendo brillare, alla luce del sole, le varie tinte della loro pelle.
Trovandoci affatto sotto vento, il capitano portò il legno in un seno precisamente a tergo di Capo Gallo, e Kniep non trascurò quell’occasione di disegnare alcuni bei punti di vista, che si offerivano al suo sguardo. Caduto il sole, il capitano riportò il legno in alto mare, dirigendolo verso tramontana e levante, per procurare di raggiungere l’altezza di Palermo. Mi arrischiai parecchie volte a salire sul ponte, senza perdere però di vista il mio compito poetico, e riuscendo a disimpegnarne buona parte. Il cielo era nuvoloso; splendeva però la luna, e quel contrasto di luce e di oscurità, faceva bellissimo effetto in mare. I pittori per produrre effetto ci lasciano spesse volte supporre, che il riflesso sull’acqua della luce del cielo, possegga piuttosto estensione, che intensità. Se non chè quivi si scorgeva il contrasto all’orizzonte, sotto forma di una piramide, la quale veniva a finire nelle onde, attorno al legno. Durante la notte il capitano variò ancora altre volte le sue manovre.
Lunedì 2 aprile alle 8 del mattino.
Siamo in vista di Palermo. Ho cominciata bene la giornata. Lasciai il mio dramma riposare al basso, nel ventre della balena, e trovandomi abbastanza bene potei salire sul ponte, per osservare attentamente le coste della Sicilia. Kniep continuò a disegnare, e colla sua abilità riuscì a fissare in parecchi fogli, i ricordi di questa remota contrada.