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quanto potevo, il mio dramma. Le ore scorrevano le une dopo le altre, ed io non avrei segnato il loro corso, se quel malizioso di Kniep, sul cui appettito non avevano influenza di sorta le onde, nel recarmi il mio pane ed il mio vino, non mi avesse vantata la squisitezza del pranzo, la cortesia e l’allegria del capitano, il quale si doleva, non potessi io pure, far onore alla sua mensa. Nè contento di questo, scherzava pure Kniep sul mal di mare, e siccome tutti i passeggieri più o meno vi pagavano il loro tributo, non gli difettavano materia ed argomento a storielle graziose.

Verso le quattro del pomeriggio il capitano diede altra direzione alla corvetta. Fece ammainare di bel nuovo le vele maggiori, e drizzò la prora sull’isola d’Ustica, al di là della quale vedemmo con nostra grande soddisfazione spuntare all’orizzonte, i monti della Sicilia. Il vento pure si piegò a nostro favore; ci accostavamo alla Sicilia, scorgendo alcune altre piccole isole, mentre il sole scendeva in mare, velato dalle nebbie. Il vento si mantenne favorevole tutta la sera, se non che verso la mezzanotte cominciò il mare ad essere molto agitato.


Domenica 1 aprile.

Verso le tre del mattino imperversò la burrasca. Fra il sonno e la veglia, io continuavo a pensare al mio dramma, mentre sopra il mio capo, sul ponte, tutti erano in moto. Si dovettero ammainare tutte le vele, ed il legno era lanciato in alto, precipitato in basso, a vicenda dai marosi. Verso lo spuntare del giorno il tempo si calmò, l’atmosfera divenne più limpida, intanto avevamo lasciata l’isola di Ustica totalmente alla nostra sinistra. Ci fecero osservare in distanza una testuggine voluminosa, la quale stava nuotando, e diffatti con il canocchiale potemmo persuaderci, che quel piccolo punto nero era un essere animato. Verso il mezzodì potemmo vedere distintamente le coste della Sicilia, con i loro promontori, i loro golfi; ma il vento era diminuito di molto, e non potevamo far