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plesso, ma sempre più grandiosa, più splendida. Questa pure a sua volta disparve, se non chè, non tardò a ricomparire ai raggi della luna sorta sulle vette nevose, ed aspettai che il giorno venisse a rendere la luce a questa gola alpestre, nella quale io mi trovavo, stretto ai confini fra il mezzodì ed il settentrione.

Voglio poi ancora dedicare due righe al tempo, il quale probabilmente mi si dimostra cotanto propizio, perchè io molto mi occupo di lui. Nella pianura si riceve il tempo buono o cattivo, allorquando è già formato; nei monti invece, si assiste per così dire, alla sua formazione. Ne fui testimonio spesse volte di giorno, di notte, sempre quando mi trovai in viaggio, od a passeggio, od a caccia nelle contrade montuose, nelle foreste alpestri; ed in allora mi nacque un capriccio, del quale non fo maggior caso che si debba fare di un capriccio, ma al quale non posso rinunciare, come per lo più appunto avviene dei capricci. Lo scorgo dovunque, quasi fosse una verità, e per tanto ve lo voglio comunicare, riposando sull’indulgenza provata già in tanti casi, de’ miei amici.

Ogni volta che noi contempliamo le montagne, o da vicino od in distanza, e che scorgiamo le loro vette, ora risplendere ai raggi del sole, ora perdute nella nebbia, ora cariche di nubi, ora flagellate dalla bufera, ora ricoperte dalla neve, attribuiamo tutti questi fenonemi all’atmosfera, della quale scorgiamo benissimo le agitazioni, e le mutazioni. I monti per contro, appaiono ai nostri sensi esteriori, immobili nella loro forma originaria. Li riteniamo morti, perchè sono irrigiditi; inoperosi, perchè non si muovono.

Io però da gran tempo non posso a meno di attribuire in gran parte ad un azione segreta, silenziosa dei monti, le variazioni appunto dell’atmosfera. Ritengo cioè, che la massa della terra specialmente, e per conseguenza le parti di questa più salienti, più importanti, non esercitino già una forza di attrazione uguale, costante; ma che questa forza di attrazione varii, si riveli in certe pulsazioni, ora ac-