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quali fanno tutt’altra figura, quando si prendono a considerare, gli uni in relazione cogli altri. Credo che se potessi dedicare quel tanto che mi dovrà sopravvanzare di vita all’osservazione, finirei per fare qualche scoperta, la quale allargherebbe la cerchia delle cognizioni umane. Vi prego far sapere ad Herder, che vado traendo sempre nuove deduzioni dalle mie teorie botaniche; il principio è sempre lo stesso, ma per svilupparlo a dovere, vi vorrebbe una vita intiera; forse riuscirò a stabilirne i punti principali.
Per ora mi godrò il museo di Pompei. Generalmente lo si vede fra le prime cose, e noi lo visiteremo per l’ultima. Non so bene ancora che cosa io farò; tutti vorrebbero che alla Pasqua io fosse di ritorno a Roma. Lascierò andare le cose come vorranno. Angelica ha preso a dipingere un quadro, togliendone l’argomento dalla mia Ifigenia. Il pensiero si è felicissimo, ed ella lo saprà svolgere stupendamente. Scelse il momento in cui Oreste rivede la sorella, e l’amico. Ha trovato modo di esprimere, in un gruppo ben disposto, quanto stanno dicendo quelle tre persone, e di tradurre in gesti, ogni loro parola. Si scorge in quella tela, quanto sia la squisitezza del suo sentire, non chè la sua valentia nell’esprimerlo. E per dir vero quel momento si è il perno di tutto il dramma.
Vivete felici, e vogliatemi bene. Qui tutti mi accolgono bene, quantunque non tutti si sappiano conformare alle mie idee. Tischbein è di contentatura più facile, ed alla sera talvolta si piega a disegnare loro teste di grandezza naturale, le quali provocono il loro stupore, quanto potrebbe produrre agli abitanti della nuova Zelanda, la vista di un legno da guerra. Voglio anzi narrarvi a questo proposito una storiella graziosa.
Tischbein possiede sovratutto una grande facilità di disegnare a penna figure di divinità, di eroi, di grandezza naturale. Tira pochi tratti, quindi con un grosso pennello vi aggiunge le ombre con tanta maestria, che le sue te-