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casa, e vi raspano sempre qualcosa; quanto abbiamo, me lo vorrei invece godere coi nostri amici. Era stata servita la minestra. Il padre Benedettino mangiava con aria di componzione. «Non abbiate riguardo, reverendo, sclamò ella; il cucchiaio è forse troppo piccolo? Ve ne farò portare uno più grande. A voi signori non manca mai il buon appettito.» Il padre rispose. «Ogni cosa è cotanto squisito nella vostra casa, principessa, che qualsiasi convitato non potrebbe a meno di rimanere soddisfatto.»

Il padre prese un pasticcetto solo. «Avreste dovuto prenderne almeno una mezza dozzina, sclamò ella, lo sapete pure che la pasta sfogliata si digerisce facilmente.»

Il sant’uomo prese ancora un pasticetto per corrispondere alla gentile attenzione, quasi non avesse capito il frizzo. Ed anche quando fu recata una torta, ne tolse congiuntura la signorina di dare corso alla sua malizia, imperocchè, quando il padre ne prese un pezzo sul suo tondo, ne ruzzolì un secondo giù del piatto.» Prendetene un terzo, padre, diss’ella. Pare abbiate intenzione di allogare buone fondazioni all’edificio. «Quando i materiali sono di tanto buona qualità, replicò il padre, poco rimane, per dir vero, a fare all’architetto.» E la conversazione continuò su quel tuono, senz’altra pausa, fuorchè per accennarmi e farmi gustare le migliore vivande.

Intanto però, io parlavo pure coll’altro mio vicino di cose serie. Posso dire di non avere mai udito uscire dalla bocca di Filangieri una parola indifferente. Rassomiglia in ciò, coma in molte altre cose al nostro amico Giorgio Schlosser, se non che, Napoletano e gentiluomo, egli è d’indole più mite, e di commercio più facile.

Il buon umore della mia vicina non lasciò tregua durante tutto il tempo del pranzo ai poveri monaci; ed i cibi di magro specialmente, aggiustati in guisa da comparire in apparenza vivande di grasso, le somministrarono argomento a frizzi continui molto liberi, e poco religiosi, nel rivelare e nel giustificare il desiderio di cibi di grasso,