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chè quelle guide tirano sù per mezzo di una leggiera correggia attorniata alla vita del viaggiatore, questi che li segue, il meglio che può, appoggiandosi nel salire sopra un bastone.
Pervenimmo per tal guisa sulla pianura, dove sorge il cono del monte, a tramontana delle rovine del Somma.
Gettai di là uno sguardo sui dintorni del monte a ponente, il quale dissipò, quanto avrebbe potuto fare un bagno fresco, il calore, la stanchezza della salita, e presimo allora a girare il cono che romoreggia di contitinuo, eruttando sassi e ceneri; e tenendoci a distanza di quello, per quanto lo spazio lo consentiva, era spettacolo propriamente grandioso. Si udiva dapprima quasi un cupo romoreggiare di tuono, nelle profondità dell’abisso; quindi si scorgevano a migliaia sassi di varie dimensioni lanciati per aria, circondati da una nuvola di ceneri La maggiore parte di quei sassi ripiombavano nell’abbisso; gli altri rotolando da ogni parte, lungo le pareti esteriori del cono, producevano un fracasso d’inferno; i più pesanti ripiombando nell’abisso, producevano un tonfo; i più piccoli fa cevano un romore più acuto, e le ceneri crepitavano. Tutti questi fenomeni si succedevano ad intervalli regolati, dei quali, con attenzione, si sarebbe potuto benissimo misurare la durata.
Tra il Somma ed il cono, lo spazio era abbastanza ampio; però cadevano sassi attorno a noi, i quali rendevano il passaggio per quella via, tutt’altro che piacevole. Tischbein in cima al monte era sempre più malcontento, trovando tutto quel chiasso non solo ingrato, ma ancora pericoloso.
Siccome però, anche la presenza di un pericolo porge una certa attrattiva, la quale provoca lo spirito di contraddizione inerente alla natura umana a sfidarlo, pensai se non fosse possibile, approffittando dell’intervallo fra due eruzioni, lo arrivare in cima al cono, presso il cratére, scendendone parimenti fra una eruzione e l’altra.
Domandai consiglio al riguardo alle nostre guide, mentre
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