Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 180 — |
La posizione stessa della città vi porta a considerare il modo, nel quale è questa sorta. Si scorge tosto che qui non si è stabilito un popolo nomade numerato, guidato da un capo; che non vi si fissò con animo deliberato il centro di un regno; non vi fù qui un principe possente, il quale abbia fatto scelta della località la più adatta, a sede di una colonia. No, pastori vagabondi cominciarono a costrurre qui alcune capanne, e due giovani arditi, gittarono in cima di un colle le fondazioni del palazzo dei dominatori del mondo, ed ai piedi di quel colle sorsero liberamente abitazioni, fra le paludi ed i canneti.
Le sette colline di Roma poi, non si possono dire alture, rimpetto alla contrada che si stende a tergo di quelle; sono tali rimpetto al Tevere, ed all’antico letto di questo, che diventò poi il Campo Marzio. Se nella primavera mi verrà dato potere fare alcune escursioni, vi darò conto più particolareggiato di quest’infelice località; ma fin d’ora prendo viva parte ai lamenti ed al dolore delle donne d’Alba, le quali vedevano distrurre la loro città, e che guidate da un avveduto condottiero dovevano abbandonare quella posizione felicissima, per venirsi immergere nelle nebbie del Tevere, e dalla misera collina di Cornelio volgere con desiderio lo sguardo al loro paradiso perduto. Conosco poco ancora i dintorni, ma sono persuaso non esservi altra città antica, la quale sorga in località altrettanto infelice quanto Roma, ed i Romani dopo averla tutta occupata, dovettero portare lontane da quella le loro ville, le loro case di campagna, edificandole sull’area delle città che avevano dessi stessi distrutte, per potere ivi godere la vita.
Il 25 Gennaio.
Se si considerano le cose attentamente, si scorge come qui molti e molti vivano vita tranquilla, e come ognuno vi possa trovare occupazione a modo suo. Abbiamo viste presso un sacerdote, il quale senza avere propriamente