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della Boia, dell’Egitto, dell’Isauria, dell’Etiopia, e di parecchie altre regioni ancora, che ora più non ricordo. Quelle poesie mi parvero dettate in generale in ritmo nazionale, per essere declamate secondo l’uso delle singole nazioni, e si udirono ritmi e tuoni, propriamente barbari. Il Greco risuonò armonioso, quasi una stella, la quale splenda in limpido cielo. L’uditorio talvolta rideva sgangheratamente con poco rispetto, nell’ascoltare il suono di quelle voci strane, con grave discapito della serietà della riunione.

Voglio ora narrarvi ancora, una storiella, la quale varrà a provarvi in qual modo si trattino le cose sacre in Roma santa. Il cardinale Albani, morto non ha guari, assisteva un anno alla solennità della quale vi ho fatta or ora la descrizione. Uno fra i seminaristi, volgendosi ai cardinali, pronunciò per due volte in una lingua straniera la parola gnaia! gnaia! la quale suona ad un dispresso quanto canaglia. Il cardinale si volse a suoi colleghi, dicendo: «Si scorge ch’egli ci conosce!»


Il 15 Gennaio.

Quanto non ha lavorato Winckelmann, e quanto non ci ha lasciato ancora a desiderare! Con i materiali che egli aveva radunati de’ quali egli aveva acquistata profonda cognizione, si trovò in grado di dettare con tanta celerità la sua opera. S’egli fosse tuttora vivo, e godesse tuttora robustezza e salute, sarebbe il primo a dare una nuova edizione della sua opera, corretta ed accresciuta. Quali nuove osservazioni non avrebbe fatto, quali nuovi giudizi non avrebbe profferiti; quale partito non avrebbe saputo trare dagli studii, dalle osservazioni fatte dagli altri, attenendosi a suoi principii, dai nuovi scavi eseguiti, e dalle nuove scoperte fatte, tanto più, che ora sarebbe morto il cardinale Albani, per compiacere al quale, molte cose aveva scritte, e molte più forse ancora, aveva taciute.