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che una signora inglese capitata colà, si era inginocchiata davanti alla statua trattenendosi alcuni istanti in atto di preghiera, e che dessa, Cristiana, non aveva potuto vedere quella stranezza senza sorridere; che anzi aveva dovuto uscire dalla sala, per non scoppiare addirittura in un riso clamoroso. E siccome io non mi sapevo staccare da quella statua, l’ingenua donna finì per domandarmi, se per caso io avessi una figliuola la quale rassomigliasse a quella, dal momento che provavo tanto piacere a contemplare quel marmo. La buona donna non conosceva che venerazione ed amore; non possedeva idea veruna della semplice ammirazione di un capo lavoro artistico, della simpatia spontanea per un prodotto dell’ingegno dell’uomo. Ridemmo della dama inglese, ed andammo oltre col desiderio di tornare; desiderio che io non intendo tardare a lungo a soddisfare. Quando vogliate, amici miei, saperne più a lungo intorno a quest’ordine d’idee; non avrete che a leggere quanto dice Winckelmann, intorno allo stile sublime dei Greci. Disgraziatamente egli non ricorda colà questa Minerva. Pure, se io non vado addirittura errato, questa statua appartiene propriamente al fiore di quello stile, rappresentato in tutta la sua splendidezza.
Ora voglio farvi parola di spettacolo d’altra specie. Nel giorno dell’Epifania, in cui si festeggiava l’annuncio della buona novella dato ai gentili, siamo stati alla Propaganda. Ivi, alla presenza di tre cardinali, e di un uditorio numeroso, si cominciò a recitare un discorso, nel quale si trattava la quistione del luogo dove la Vergine Maria avesse ricevuti i re magi. Forse nella stalla? Ovvero altrove? Dopo si lessero alcune poesie latine, intorno allo stesso argomento; per ultimo ben trenta seminaristi, recitarono l’uno dopo l’altro brevi poesie, ognuno nell’idioma del loro paese natio, del Malabar, dell’Epiro, della Turchia, della Persia, della Colcia, della Palestina, dell’Arabia, dell’Assiria, delle contrade cofte, saracene, dell’Armenia, dell’Ibernia, del Madagascar, dell’Irlanda,