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Ed intanto questo lavoro, del quale pensavo potermi liberare in pochi giorni, mi tenne occupato, sopra pensieri, e potrei dire angustiato, per ben tre mesi. Non è la prima volta che mi avviene di trattare quali accessorie le cose le più importanti, e non vale la pena di trattenersi più oltre, a fantasticare, od a ragionare a quel riguardo.
Unisco a questa lettera un grazioso cameo, il quale rappresenta un leoncello, con un calabrone che gli ronza attorno al naso. Questo soggetto tornava molto accetto agli antichi, e lo si trova riprodotto di frequente. Desidero che quindinnanzi vogliate sigillare le vostre lettere con questa gemma, affinchè per tal modo mi pervenga di costì per parte vostra, una specie di eco artistica.
Il 13 Gennaio 1787.
Quante cose non avrei a narrarvi ogni giorno, se il più spesso la fatica o le distrazioni non m’impedissero dar di piglio alla penna! Aggiungete a queste cause le giornate abbastanza fredde, durante le quali si stà meglio dovunque che nelle stanze, le quali senza stufe, senza camini, non servono che per dormire, ovvero per starvi a disagio. Però, è d’uopo che io vi faccia parola di alcune cose viste nell’ultima settimana.
Nel palazzo Giustiniani esiste una Minerva, la quale ottenne tutta quanta la mia venerazione. Winckelmann non ne fa quasi parola; quanto meno non la ricorda a luogo opportuno, ed io sento che non sono degno di celebrarne i pregi. Allorquando ebbimo contemplata ed ammirata a lungo quella statua, la moglie del custode ci disse con tutta serietà, rappresentare quella una santa antica, e che gl’Inglesi, i quali appartengono tuttora a quella religione, sogliono in atto di venerazione baciarle una mano, la quale difatti è bianchissima, mentre le altre parti del marmo hanno tinta oscura, ed antica. Soggiunse ancora quella buona donna, essere poco tempo