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mio intelligente ed erudito amico e collaboratore, si trovava costretto a sciogliere molti dubbi, per i quali difettava di ogni principio fisso, di ogni norma.

Non mi sarei mai arrischiato a ridurre l’Ifigenia in versi giambici, se non avessi trovato una guida nella prosodia di Moritz. Le mie relazioni coll’autore, specialmente durante il tempo in cui trovavasi questi steso sul suo letto di dolore, mi furono della più grande utilità; ed io porgo preghiera agli amici, di volerlo ricordare con benevolenza.

Le è cosa strana, come poche sillabe nella nostra lingua siano decisamente lunghe e brevi. Per tutte le altre si possono fare tali indifferentemente, a piacere ed arbitrio. Ora Moritz ha ideato di disporre le sillabe in un certo ordine, facendo lunghe quelle che a fronte delle altre posseggono in certo modo maggiore importanza, le quali, collocate in posizione diversa, tornano ad essere brevi. Per dir vero non si può stabilire in questo particolare una regola fissa, invariabile; ma attenendosi a quel metodo, si avrà pur sempre un filo il quale servirà di guida, ed io mi sono trovato bene di averlo seguito.

Dal momento che io vi ho fatta parola di una lettura del mio dramma, devo pure accennarvi in breve, l’esito che abbia ottenuto. Tutta quella gioventù, assuefatta alle mie composizioni precedenti, d’indole vivace, progressiva, si aspettava qualcosa nel genere del Goetz di Berlichingen, e durava qualche fatica a piegarsi a questo mio nuovo lavoro, d’indole pacata e tranquilla; però i passi più semplici, più nobili, non fallirono il loro effetto. Tischbein al quale punto non sorrideva questa mancanza quasi totale di passione, cavò fuori un grazioso paragone. Disse che il dramma gli dava idea di un sacrificio, nel quale il fumo è trattenuto al basso verso terra da un aria alquanto pesante, nel mentre le fiamme libere s’innalzano verso il cielo. Fece un schizzo di quel suo pensiero, che porterò meco costì.