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del tamburro della cupola della navata, all’interno della chiesa. Si può passeggiare su quelli, e guardare di lassù al basso, in ogni parte della chiesa, e quando fummo sul cornicione del tamburro, vedemmo passare al basso il Papa, venuto a fare la sua preghiera del pomeriggio. Nulla più ci restava a vedere in San Pietro. Scesi da quell’altezza uscimmo dalla chiesa, e dopo avere pranzato frugalmente, ma allegramente in una modesta osteria del Trastevere, ci avviammo alla chiesa di S. Cecilia.
Userò poche parole per descrivere l’apparato dell’interno di quel tempio, riboccante di persone. Non si vedevano più mura, nè marmi. Le colonne erano ricoperte di velluto rosso, legato a quelle con treccie di oro; i capitelli scomparivano sotto la loro copertura, parimenti di velluto ricamato in oro, ed erano ricoperti per tal guisa tutti i pilieri, tutte le cornici. Tutti gli intervalli delle pareti erano rivestiti di tele dipinte, in guisa che tutta la chiesa sembrava un mosaico. Di fronte e di fianco all’altare maggiore ardevano non meno di duecento candele, formando queste quasi una parete di luce, la quale illuminava tutta la navata del tempio. Di fronte all’altare maggiore, ed al disotto dell’organo vi erano due palchi, ricoperti questi pure di velluto, e nell’uno stavano i cantanti, nell’altro i suonatori, i quali facevano musica di continuo.
Udii colà una specie nuova e bella, di musica. Nella stessa guisa che si eseguiscono concerti di violino o d’altri stromenti, si eseguivano colà concerti di voci, in modo che una voce, per esempio il soprano, si era quella predominante, la quale eseguiva gli a solo, accompagnata di quando in quando dai cori, e sempre poi come, ben si comprende dall’orchestra. L’effetto di quella musica era bellissimo. Se non chè, io devo finire, come finì pure questa bella giornata. La sera andammo ancora all’opera, dove si rappresentavano i Litiganti, se non che ci eravamo di Vertiti abbastanza, e non tardammo ad uscire, ed a venire a casa.