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tenne questa una ragguardevole appendice. Un sacerdote, il quale trovasi attualmente in Francia, e che aveva formato il disegno di scrivere un’opera intorno ai materiali di costruzione adoperati dagli antichi, aveva ottenuto, per mezzo della Propaganda, molti campioni di marmi dell’isola di Paro. Furono questi lavorati qui, e dodici pezzi, dalla grana la più fina alla più grossa, vennero riservati per me, adatti gli uni alla scultura, gli altri all’architettura. E non ho duopo di spiegare quanto giovi la cognizione dei materiali impiegati nelle arti, a portare giudizio intorno ai prodotti di questa.

Del resto havvi qui di frequente, occasione di fare raccolta di oggetti di quella natura. Passeggiavamo uno di questi giorni in aiuole piantati di fresco di carcioffi, per le rovine del palazzo di Nerone, e non potevamo trattenerci di gravarci le tasche di pezzi di granito, di porfido, di marmi di varie specie, che si offerivano ai nostri sguardi, e che porgono tuttora testimonianza irrefragabile della splendidezza del rivestimento delle pareti, in quelle antiche costruzioni.


Il 18 Novembre.

Oggi voglio farvi parola di un quadro meraviglioso, e molto problematico, il quale trae pure a sè l’attenzione, fra mezzo a cotante cose stupende.

Trovasi qui da parecchi anni un Francese, molto conosciuto quale dilettante, e raccoglitore di oggetti d’arte. Egli venne in possesso, non si sa come, nè di dove, di una antica pittura a fresco; la fece restaurare dal Mengs, ed ora possiede un vero capo lavoro nella sua collezione. Winckelmann ne parla con entusiasmo. Rappresenta Ganimede, il quale porge a Giove una coppa piena di vino, e ne riceve in compenso un bacio. Il francese muore, e lascia il quadro alla sua padrona di casa, quale antico. Mengs viene a morire a sua volta, e sul suo letto di morte disse, non essere il quadro antico, averlo dipinto