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Poche parole poi mi basteranno a rendere conto della soddisfazione provata in questo giorno. Viddi in S. Andrea della Valle gli affreschi del Domenichino, non che la galleria Farnesina, dipinta dal Carracci. Vi sarebbe di che parlarne per mesi non che per un giorno.
Il 18 Novembre.
Fa di nuovo bel tempo; la giornata è limpida, calda, piacevole. Vidi nella Farnesina la storia di Psiche, della quale tenni per tanto tempo le stampe colorate nella mia stanza; quindi in S. Pietro in Montorio la trasfigurazione di Rafaello, tutte conoscenze antiche, quasi amici, coi quali si sia stato da molto tempo in corrispondenza, e che si conoscano per la prima volta, di persona. La vita comune è però tutt’altra cosa; ogni punto di contatto si rivela tosto, al pari di ogni punto di repulsione.
Si rinvengono poi ad ogni tratto, in ogni luogo, cose stupende, delle quali non si è parlato cotanto, e che non vennero divulgate al pari di altre colle copie e colle incisioni; e di queste porterò meco parecchi disegni, eseguiti da giovani artisti.
Il 18 Novembre.
Le ottime relazioni che avevo strette già con Tischbein per corrispondenza epistolare, il desiderio, la speranza che io gli aveva manifestato parecchie volte di potere venire in Italia, fecero sì, che fin dal primo istante ci trovammo legati da intrinsichezza. Egli aveva sempre pensato a me, si era preso sempre pensiero delle cose mie. Conosce pure bene i materiali adoperati nella costruzione, sia dagli antichi che dai moderni; li ha studiati a fondo, spintovi dal suo amore di artista, e guidato dal suo occhio di artista. Aveva spedito non ha guari al mio indirizzo a Weimar una raccolta di campioni di quei materiali, che sarò lieto di trovare colà, al mio ritorno in patria. Ed intanto ot-