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e che più valse a stabilire la sua fama. Allora mi potei spiegare meglio l’impressione favorevole che quel quadro mi aveva prodotto; imperocchè essendo di scuola veneziana che già conosco, mi trovai in grado di apprezzare maggiormente l’abilità del maestro.
Il gentile artista il quale mi aveva favorito quella spiegazione, si era Enrico Meyer, svizzero, il quale si trova da vari anni qui a studiare, con un suo amico Colla, e e che oltre al riprodurre con molta maestria alla seppia i busti antichi, è molto versato pure nella storia dell’arte.
Roma, il 7 novembre.
Mi trovo qui da sette giorni, e mi vado formando mano a mano, un’idea generale di questa città. Giriamo continuamente, vo acquistando cognizione della pianta di Roma nuova e di Roma antica; contemplo le rovine, gli edifici, visito ora una villa, ora un altra; mi fermo a lungo davanti alle rarità le più notevoli; cammino sù e giù, sempre cogli occhi aperti, guardando ogni cosa, imperocchè soltanto a Roma, è possibile prepararsi a conoscere Roma.
Lasciatemi però dire essere ufficio triste ed ingrato, quello di cavar fuori Roma antica dalla Roma moderna; ma è pure forza compierlo, nella speranza di rinvenirvi grande soddisfazione. Trovansi traccie di splendidezza e di distruzione, le quali superano ogni mia imaginazione. Quanto fu rispettato dai barbari, venne manomesso dagli architetti moderni.
Quando si considera l’esistenza di questa città, la quale risale a due mille anni ed oltre; quando si pon mente a tutte le vicissitudini, e tutte le trasformazioni a cui andò soggetta nel corso dei secoli, e che si pensa sorgere pure dessa sempre sullo stesso suolo, sugli stessi colli; che si scorgono ancora le stesse colonne, gli stessi muri; che nel popolo si riconoscono tuttora traccie del carattere antico, si finisce per diventare in certo modo contemporaneo