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ben più di quanto avrebbe potuto fare la sola traduzione italiana, giacchè Vitruvio si legge con difficoltà; è scritto in modo oscuro, e per comprenderlo a dovere, è d’uopo porvi molta attenzione. Ad onta di ciò, io lo vado leggendo alla sfuggita, e me ne rimane sempre una certa impressione. E per esprimere meglio il mio pensiero, direi che lo leggo quasi un breviario, più per devozione, che per istruzione. Le sere cominciano ad essere lunghe, e vi ha tempo a leggere, ed a scrivere.

Sia ringraziato Iddio che io trovo tuttora piacere, alle cose di cui mi compiacqui nella mia giovinezza! Quale soddisfazione non provo io, nel rileggere di bel nuovo gli antichi scrittori! Imperocchè, ora io lo posso dire; posso confessare la mia infermità, per non dire addiritura la mia pazzia. Da alcuni anni io non potevo più leggere un autore latino; non potevo più considerare cosa, la quale mi destasse l’idea d’Italia. E se talvolta ciò avveniva a caso, mi faceva propriamente soffrire. Herder si rideva spesse volte di me, perchè studiavo tutto il mio latino nello Spinoza, imperocchè egli aveva osservato essere quello l’unico libro latino che io leggessi; se non che, egli ignorava a quel punto io mi dovessi guardare dagli antichi, e come unicamente per disperazione io cercassi rifugio in quelle generalità astruse. Ed ultimamente ancora, la traduzione delle satire di Wieland, mi aveva reso infelice; ne avevo lette due appena, che già stavo per impazzire.

Se io non avessi presa la risoluzione che ora mando ad esecuzione, non so davvero quale misera fine avrei fatto, tanto era diventato in me ardente, imperiosa, la bramosia di potere considerare questi oggetti con i miei propri occhi. Le cognizioni storiche non sono quelle che mi tentano; stanno a mia portata, ma separate da un muro insuperabile. Le cose invece, non mi danno nessuna pena, e tuttochè io le veda per la prima volta, direi averle già vedute. Sono stato pochi giorni a Venezia, ma mi sono addentrato abbastanza nel modo di vivere, nel-