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NOTA
Una lodevole eccezione fu per certi sensi la rappresentazione del Ridicolo dopo la quale scrivemmo quanto segue:
Occorre riesaminare nelle poche righe di una nota di cronaca il problema dell’arte di P. Ferrari? Il Ridicolo ne offrirebbe caratteristicamente argomento, ma poche note schematiche chiariscono le grosse questioni che vent’anni or sono non erano nemmeno avviate a soluzione. C’è in questa commedia la grossa impostazione della tesi (l’elemento cui guardavano Ferrari e i contemporanei); c’è l’elemento che mise in luce il Croce e su cui impostò la sua esegesi, la forza e la serenità morale della marchesa Emma; c’è la varietà complessa dei caratteri (il vecchio marchese Braganza, l’amico del marito, la rigidità corretta del conte Metzbourg) per cui Ferrari trovava grazia presso la critica romantica; c’è l’artificiosità di varie giustaposizioni da cui dipendono tutti i vizi di questo teatro che ha dato una sola opera completa: il «Goldoni e le sue sedici commedie nuove». E c’è il carattere che a noi pare essenziale dell’arte di Ferrari: la sua superiorità di artista sulle proprie creature, l’agilità e l’ironia con cui le sottopone al se-