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-smo quasi anacronistico di Paulet, la diplomatica avvedutezza di Cecil rendono solenne la tragedia, ma non ne chiariscono lo sviluppo.

Il dramma è tutto nella lotta intima che si combatte tra la donna e la regina in Elisabetta e in Maria. Uno stesso fato psicologico pesa sulle due nemiche. Ma si esprime a fatica, tra il pericolo dell’enfasi e il predominio di un’arida schematicità.

Lo schema è la lotta tra la regina cattolica e la regina protestante, tra l’Inghilterra e la Francia, motivo che potrebbe risultare immanente nella tragedia, ma non teorizzarsi a priori. Invece un tentativo di generalizzazione s’incomincia a trovare già nella prima scena. Il dignitoso contrasto di due spiriti regali appare nel pettegolezzo di una discussione di servi. Questo squilibrio, notato qui una volta per tutte, indica la natura della declamazione nell’opera schilleriana.

Negli spunti validi delle scene seguenti si manifesta invece il nucleo tragico dell’opera: «un operoso spirito maligno prende il governo degli umani petti e vi semina il male: indi fuggendo lascia ne’ traviati uno spavento, un rimorso crudele». La costrizione, la mancanza di libertà sono la misura dello svolgimento drammatico: ma i motivi di più commossa umanità nascono proprio dalla coscienza, presente nei personaggi, della necessità di questo sacrifizio. Il passato di Maria è il suo dolore e la sua forza presente. L’azione si riduce nella sua sostanza più viva a motivi di dialettica spirituale. Il creatore esplora gli abissi delle anime. L’episodio di Mortimer, l’intervento di Leicester, leggermente ridondanti, recano la tragedia anche nello sviluppo esterno alla coerenza intima.