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la frusta teatrale 91


-tre di mistero, di timidezza e di sottinteso la sterilità loquace di Maria Melato si riduce tutta all’enfasi delle espansioni e alla confidenza calda della donna. La sua invadenza è persino opprimente, preclusa come appare a ogni riposante tregua di gioco e a ogni respiro di signorile grazia dilettevole. Anzi si potrebbe dire che ella calcoli sulla propria stanchezza per un effetto più completo; onde quel fatto avvertito finemente dal D’Amico che l’efficacia, le risorse più intense si concentrino sopratutto negli ultimi atti delle opere recitate. Potremmo definirla una vittima delle proprie emozioni, troppo carnalmente interessata per diventare capace di liberazione.

Ricca di doti pratiche squisite, viva di una finzione eterna di giovinezza calda, con la voce musicale, col fisso sguardo pensoso e dolorante, e il teso fervore di vibrazioni, vuol far brillare con entusiasmo l’esuberanza dei suoi mezzi, vivere con sincera passione. 11 suo è l’animo dell’attrice tradizionale, desiderosa di apparire sul palcoscenico per un bisogno romantico di comunicazione sensuale.

Ma se tali motivi sono interessanti in certi casi per animare opere che senza l’attrice sarebbero rimaste scialbe, esili, insignificanti, chi dirà dove si giunga per questa via quando l’assunto sia di penetrare un’opera d’arte difficile e fortemente organica? Una risposta esauriente ci è stata offerta con La Lupa del Verga, che la Melato ha affrontato come si trattasse di una paradossale creatura di carne.

Questa lupa c’è in Verga: ma nella novella, che è solo una serie di appunti per il dramma. Vi si annota il fatto con gusto, ma senza figure, nudo. Intorno alla Lupa