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la frusta teatrale | 75 |
Ma forse la più bella astuzia di Alda Borelli, che or è qualche anno ancora si divertiva nelle fatiche dell’Aiglon, fu nella falsificazione e nella beffa della Signora delle Camelie. Trovammo Dumas rifatto nell’ironia. Il drammaccio sentimentale riabilitato nella freddezza. Invece della tradizionale parabola immaginata per il caso pietoso di una purezza che si conserva anche nell’avvilimento, la tragedia trasportata su un diverso piano di misura e di silenzio. Dicono che M. De Doche, la prima interprete, vi si prodigasse in tutti i toni, dalla spensierata allegria al cupo dolore e accontentasse il gusto per l’incomposta varietà, dell’autore torbidamente romantico. Alda Borelli invece respinge ogni elemento di dispersione, e ci offre un dramma più riposato in cui il romanticismo si vela di sfumature ironiche e lo spasimo si attenua in una pausa di melanconia.
E’ vero che Dumas voleva sopratutto scrivere dei pezzi di bravura per i diversi modelli retorici, ma in conclusione questo curioso duello dell’attrice coll’autore non è senza nuovissime sorprese.
S’incomincia con sopprimere la cortigiana. Margherita Gautier non può ritrovarsi nella gioia, non può spasimare nel dolore. Non è piccola scoperta quella di una creatura femminile teatrale non malata di isterismo: e qui appunto tutti i mezzi, anche più crudi tendono all’insensibile.
Nel famigerato colloquio col padre di Armando invece di smarrimenti e di lagrime s’incontra una fissità statuaria. Ascoltando, l’attrice contempla oggettivate, freddamente, le sue pene. E’ il processo di una decisione, di una volontà. Quando il signor Duval tace, ella può par-