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62 | p. gobetti |
Senza ironia basterebbero poche nozioni cronologiche precise per considerare, esenti dalle più pericolose emozioni, il facile mito di eroicità dietro cui si manifestano i culti e le ammirazioni.
Emma Gramatica ha trovato in Ibsen l’esigenza della figurazione dell’eroina coi torbidi contrasti ideali e le solenni liberazioni. E’ stata Nora, Rebecca, Hedda. Ricerche senza posa e spesso senza misura, cui l’attrice dedicava tutta se stessa come per un opera di personale salute, hanno sedotto il pubblico, che vi ha rispettata una commozione. anche ora la Gramatica non può recitare Casa di Bambola senza fremiti e senza crisi sentimentali. Nora non le è tutta chiara: e se riesce a viverne la capricciosa fanciullezza del primo e del secondo atto approfondendo appena le doti della sua spontaneità, la catastrofe, giustificata come problema, pecca in lei di esuberanza incomposta e di patologica incertezza.
I primi due alti di Nora rappresentano un momento centrale e conclusivo della psicologia di Emma Gramatica. La spontanea freschezza, la ricca vivacità fanciullesca, l’esuberanza vitale, l’irrequietezza fantastica, la tenerezza dell’affetto che si esprime in infantili moine diventeranno poi la maniera dell’altrice, la sua bravura, le doti d’obbligo nelle quali il pubblico amerà la sua femminilità. Ma neanche le più compromettenti dedizioni l’hanno condotta al di là dei vizi naturali: e chi verrà darsi ragione di quelle che paiono le qualità più profonde e conscie, tenendo presente la Duse, avvertirà molto facilmente certi artifici di riflesso e il colore stereotipo di certe analisi minuziose. Per chi sappia guardare, l’isterismo del terzo atto di Casa di Bambola, appena concesso da indiscutibili