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-tocritica sognante eppure «si vis me flere, dolendum est primum ipsi tibi.» Doppio vantaggio se l’attore si deciderà addirittura allo spasimo di un svenimento. E nel secondo e nel terzo atto Zacconi si trova a suo agio nella commedia borghese della scoperta postuma dell’adulterio, e sa ricavare anche accessibili modelli di galanteria dai placidi conversari con un’Ofelia di carne. Solo i maliziosi consigli ai comici potrebbero indicare la misura del famoso soliloquio metafisico che bisogna ammirare appunto nella disinteressata serenità letteraria del ricercatore; ma un’enfatica disperazione suole sollecitare più naturalmente nelle riflessioni di un figlio disgraziato l’aforisma quotidiano come l’esaltata bestemmia. Non vi meravigliate dunque se Ermete Zacconi, che sa l’arte come pochi, ingenuamente si compiace di tenere esasperazioni e, noncurante di toni, cerca con cupa incontentabilità la ferocia e il delitto o comunque qualche fervore rumoroso dii espansione.

Logicamente e organicamente Macbeth, redento da Shakespeare insieme con la sposa per il suo ardore modernissimo verso l’assoluta attività, verso il defitto come fare, diventa una figura di delinquente comune che si stempera nei flebili versi di G. Carcano invece che nella robusta prosa di A. De Stefani o nella dimessa fedeltà di C. Chiarini. Otello è il geloso per superstizione che cade in deliquio nei momenti solenni se non ricorre ai procedimenti muscolari dei rovettiani disonesti. Lorenzaccio scorda nella paura isterica la sottile ironia e l’aristocratica duttilità dello scetticismo che l’ingenuo De Musset credeva di avergli ispirato. Il Nerone di Cossa diventa un buon tipo emozionante di ubbriaco codardo. Il semplice Corrado