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la frusta teatrale | 35 |
non può operare perchè non sa fermarsi ai casi concreti, singolari, e ad ogni istante sente il bisogno di salire ad una affermazione generale che non è una soluzione del suo caso, ma un modo di dimenticarlo. Non è vero che lo sviluppo di questa psicologia sia statico come pare al D’Amico; la misurata commozione del primo atto giustifica le ricerche metafisiche del secondo e del terzo che conducono Amleto alle estreme, insuperabili contraddizioni e all’affermazione integrale dell’arte retorica. Alla parentesi di rinuncia del quarto atto il quinto oppone la ineluttabilità del fato: la morte del re giunge come un imprevisto, ultimo fallimento del principe che lo deve scontare con la morte e con lo sfacelo del suo popolo (perciò tutti muoiono nella tragedia).
Shakespeare pare incerto tra una coerenza spirituale ironica di Amleto e una coerenza melanconico-pessimistica: il primo motivo più obbiettivamente tragico, il secondo nato da autobiografia sentimentale con intrusione di luoghi comuni della giovinezza focosa dell’autore. In questo contrasto stanno i limiti del valore artistico dell’Amleto.
Per Amleto il re, la regina, Polonio costituiscono il nesso empirico su cui s’inserisce la sterile azione; Ofelia e lo Spettro sono i protagonisti del mondo delle aspirazioni e degli ideali. Lo Spettro è lo sprone all’azione, il motivo eroico che appare senza continuità perchè solo episodicamente è sentito. Ofelia è il fantasma dell’amore che si conosce quando è scomparso. Creazione completa di cui si avverte armonicamente l’esilità e si penetra la funzione anche senza le postume confessioni di Amleto: ella è viva perchè non ha un carattere, perchè è un’apparizione,