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la frusta teatrale 33

nuove peregrinazioni esegetiche che abbiano virtù di evitarci le già divulgate disavventure. Il necrologio dell’astuto Papini per il principe danese (in cui l’intuito chiarificatore del fiorentino non fa che rendere espliciti risultati a cui concorde s’era affaticata la critica) potrebbe essere appunto la storia singolare delle delusioni di uno spettatore e allacciarsi di misteriosi rapporti all’anticipata commemorazione antica di un cervello lombrosiano.

Ma Amleto più che la sconfitta di un uomo nasconde, pur attraverso autobiografiche debolezze e confidenze1, il dramma di un popolo che si sfa; il disgregarsi della sua unità di governo e del suo intimo spirito animatore. Shakespeare è superiore alle contraddizioni e ai limiti del principe danese (ossia vero poeta) solo in quanto afferra e contempla un dramma universale con una visione storica che è talvolta ironica, talvolta poderosamente tragica.2

Nella solennità della prima scena il pensiero che governa Orazio e Marcello è la preoccupazione e lo spavento per una sventura che si libri sul paese: i discorsi sono tutti pieni della nuova impresa di Fortebraccio contro la Danimarca; appare lo spettro del morto re al popolo, ai soldati, per un’intima esigenza del loro spirito che Shakespeare non esita ad esprimere in forma fantastica; appare


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  1. Shakespeare ha scritto l’Amleto, sembra, a trentacinque anni. Rappresentato nel 1601, pubblicato nel 1604, l’Amleto è la seconda in ordine cronologico, delle grandi tragedie della maturità. I Sonetti shakespeariani, pubblicati nel 1609, erano già noti undici anni prima; risalgono dunque agli anni immediatamente susseguenti alle commedie del cosiddetto terzo periodo. L’Amleto è l’eco di questa espressione autobiografica, è quasi l’addio e il testamento della giovinezza. In Otello e in Macbeth il poeta avrà dominato anche se stesso.
  2. Il rifacimento del Bacchelli non contempera questi due opposti confini della fantasia di Shakespeare. Ma rifare l’Amleto, criticamente parlando, non è affatto una eresia: solo l’espressione approssimativa di un prudente giudizio.