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-ta e lettore, fondata anche questa sulla comprensione; ed io non saprei chi sia stato più popolare tra Eschilo, Omero e Pindaro, tra Shakespeare e Dante.

Ma, si obbietta, ci sono nel teatro elementi pratici, esigenze spirituali che hanno la loro storia e si riferiscono al fatto che l’opera d’arte si debba realizzare come azione scenica. Ora è vero che l’attenzione del pubblico rivolgesi di preferenza a questi elementi; e in tal caso i gioielli dell’attrice o i giuochi di luce del palcoscenico prevalgono su altre considerazioni interiori. Ma questo discorso non parrebbe riferirsi ad altro che all’esecuzione.

In realtà la rappresentazione scenica è soltanto lo sviluppo elevato a compito sociale, di un movimento spontaneo che accade, come bisogno di comunicazione, a chiunque, leggendo una poesia, voglia oggettivare i sogni del poeta e farsi, per così dire, una cosa sola con essi; l’attore poi dovendo essere decorosa espressione di questo bisogno, non sarebbe per nulla escluso dalla dignità del comprendere, che cercherà di ritrovare offrendo modestamente una sapiente lettura.

Chè, se il gusto moderno ha reso meccanica questa esigenza annegandola nella convenzionalità degli atteggiamenti falsi e di un verismo scenico fatto di lusso grossolano, si può parlare di una riforma del teatro solo in senso negativo per esprimere l’esigenza di liberare il campo da questa decadenza e da questa esteriorità.


Confesseremo candidamente che la rigorosa logicità delle considerazioni sin qui esposte è rimasta la sola arma non spuntata, in linea teorica, che si possa con qualche sicurezza opporre al Berrini, o al Forzano o all’Adami, da