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-po spesso in tutto ciò si scorge soltanto un mal riuscito gioco di nervi, e nella sua solitudine un’insufficienza di atmosfera tragica. Queste obbiezioni non possono del resto esser mosse senza un po’ di simpatia per il tentativo che la Gramatica ci ha presentato ieri sera: e limitarlo vuol dire appunto comprenderne la dignità e la severa linea espressiva. Emma Gramatica rappresentò arditamente la sua parte di bravura con una pienezza di mezzi che si deve dire, senza intenti maliziosi, teatrale: ossia chiara e talvolta fisicamente esuberante. Fu un’Hedda Gabler da Marcia Nuziale e riuscì a convincere il pubblico. Gli altri si nascosero dietro l’esteriorità delle loro controparti.

La Solitudine di C. Dane (7 ottobre 1922) — Sembrerebbe quasi superfluo approfondire con scaltrezza «La Solitudine» di C.Dane, potendosi dire agevolmente tutto ciò che ne interessa col solo pesarne schematicamente le ragioni e i motivi e quasi facendo corrispondere all’ordine e alla diligenza che metteremo da una parte della bilancia, la noia e la monotonia che lascieremo dall’altra con perfetto imparziale consenso. E forse non ci restituirebbe il prezzo del confronto il rallegrarci che qui tra noi possano sembrare invecchiati e quasi anacronistici certi argomenti pressoché sociali che all’ingenua compitezza inglese appaiono invece ora appunto quali laboriose scoperte. Le consolazioni della critica sarebbero piuttosto magre se si limitassero a mormorare con gioconda malizia il vecchio nome dell’onorato Giacometti. Piuttosto, giacché si è in tema (nientemeno) di paralleli di razze e di popoli, noteremo, con l’indulgenza naturalmente suggerita