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-cato di non seguire la vecchia maniera teatrale, non gli riuscì di darci un esperimento nuovo.


7. - La maschera dello stupore


Nel momento in cui Antonio Gandusio si stava accaparrando i più facili consensi e i più interessati entusiasmi ci fu chi giocò smodatamente su questa fortuna di borsa e di mercato, e Carlo Venezian, il profeta, il Battista, la Pizia del nostro attore, annunciò addirittura un concreto programma di riesumazioni e interpretazioni e c’entravan tra gli altri Molière e Beaumarchais, nientemeno!

Ma Gandusio, con più garbo e con più gustoso scherzo mise senz’altro in cartellone l’«Arlecchino finto principe» e l’«Arlecchino servo di due padroni». Se tale proposito si deve giudicare come maturata scelta e confessione, Gandusio si conosce meglio della sua Pizia. Il nuovo proposito è anzi la più precisa definizione della sua arte: l’autobiografia assume un valore critico. Un giudizio su Gandusio attore infatti che tenga conto dei limiti che egli s’è posto, non può non essere fondamentalmente favorevole: egli è attore della commedia dell’arte. Non è un artista perchè si ferma a ripetere sulla scena un’eterna macchietta: «L’uomo che si stupisce», con una meccanicità di mezzi affatto conosciuta e satura di convenzionalità. Dice Veneziani stesso apologista che «forse una cospicua parte della sua comicità spontanea la deve all’aspetto crucciato con cui dice le cose briose».

Il che val quanto dire che il pubblico ride non «per opera» di Antonio Gandusio, ma «di» Antonio Gandusio; come si riderebbe di un mostro fisico. Siamo — spostati i