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116 | p. gobetti |
-poneva un tipo sempre identico, fatto di poche astuzie abituali, il Ferrerò intese talvolta la commedia francese nella sua leggerezza e superficialità e la realizzò scenicamente come commedia brillante. Esile compito che recava, per la sua stessa superficialità, pericoli che ii Ferrerò non ha saputo evitare. La leggerezza e la superficialità ripetendosi si ipostatizzano in abitudine; la vivacità diventa maniera o, quando sopravvive, una ingenua immediatezza nervosa che crea appena un attimo di simpatia o di reciproca tolleranza tra attore e pubblico, non l’arguzia severa e diabolica insieme che comporta complessità di elementi comici. Come brillante difficilmente Ferrerò riesce ad essere qualcosa di più che signorile e deve lottare profondamente coi suoi istinti e con la sua pigrizia per non sembrare monotono. Anzi diremo che quella sua signorilità debba essere pagata da una eterna giovinezza e mobilità e non possa consentire per sua natura un momento di stanchezza o di riposo.
Il Ferrerò, che è persona seria e desiderosa di approfondire, s’è sforzato più volte di superare queste qualità negative e questi successi fittizi ampliando il suo orizzonte di studio: Gli innamorati, L’avaro, Così è se vi pare, Come prima meglio di prima, ma non crediamo che abbia saputo mai uscire dai limiti naturali che quasi gli ponevano i suoi nativi istinti di torinese sobrio nell’effusione piacevole, nella misura e nella gentilezza, con un costante ritegno, e negli abbandoni, più studioso di naturalezza che di calcolati sottintesi. Quando si è interessato allo studio dei tipi è riuscito quasi obbiettivo, diligente, ma l’ostentazione di sicurezza non ha nascosto certe fredde meccaniche di previste borghesi costruzioni. E perciò anche se ha cer-