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ne, innamorato che specula, è spiritualmente pochissimo vicino alla sensibilità falconiana. Ma la ragione di tale apparente paradosso deve ricercarsi nella logica estetica de Le gaie spose di Windsor, che non sono opera di comicità, ma piuttosto di allegria, e perciò non hanno (nella loro frammentarietà frettolosa) un preciso organismo artistico, non sono poesia. Anche in Fallstaf dunque il Falconi riesce solo a un’opera di bravura eccezionale, ristretta entro i limiti della spensierata giocondità.

Precisando, dovremo dichiarare di riconoscere il vero Falconi nella rappresentazione di commedie come Addio giovinezza, L’uomo onesto, Loro quattro, Come le foglie.

Qui si può effondere il suo esile sentimentalismo di umiltà, di ritrosia ingenua, di melanconia idillica, e se egli vi ponesse lo stesso studio che ha consacrato al Fallstaf, ne avremmo certamente una nuova individualità di espressione scenica, caratteristica della sensibilità moderna. Se pur queste cose non sembreranno molto strane ora che ci si è abituati a considerare in lui soltanto le qualità esterne di bravura e nessuno vuole intendere la sua caratteristica umanità fantastica.

Gli è che in Falconi, come s’è accennato, tra bravura e intimità esiste una separazione non superata; le sue qualità esterne non solo alterano, ma direttamente negano le interiori; la comicità voluta si contrappone all’umorismo autentico.

Questo dissidio siamo disposti a considerare con molto rispetto, ma non possiamo nascondere che dipende dal Falconi il superarlo e che l’essere rimasto al di qua significa lucidamente la troppo tenue adesione della sua intelligenza alle nascoste virtù del temperamento.