Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
110 | p. gobetti |
del «Cardinale». E nel delirio che si scatena nella platea riconosceremo appunto le previste manifestazioni fanatiche del comizio bene disposto.
Senonchè Luigi Carini non pare dover essere condannato fatalmente a questa tensione ed esaltazione di accenti: proverebbe una certa attitudine alla liberazione, a tacere d’altro, la stessa varietà del repertorio in cui l’esclusivismo del mattatore s’alterna con ricerche di teatro moderno e tenui esegesi di mondanità: e non è poi tutta sua la colpa se dal teatro moderno riceve più Nigro e Giorgeri-Contri che Pea o Géraldy.
La stessa monotonia e modestia dei suoi mezzi è rassicurante: voglio dire che difficilmente si potrebbe temere da lui l’esuberanza di un caso patologico. Nel suo decoro armonico basterebbe a un certo punto l’accendersi di una sola favilla critica per determinare imprevisti risultati pratici.
Per contro rifacendo negativamente l’analisi obbiettiva delle nostre speranze non nasconderemo i timori che c’incutono l’assoluta famigliarità con cui l’attore consumato usa dei suoi mezzi, e la nettissima percezione che egli ostenta di ogni teatrale vicenda. La chiara bonarietà del suo giudizio, la soddisfatta pienezza della dizione confessano una sicurezza che potrebbe anche rimanere arida. Ma perchè il Carini con la sua intelligenza dialettica e decisa non sventerebbe queste previsioni di equilibrio per darci un concludente superamento della compostezza di salotto, della tragicità giudiziaria, della beffa plateale? La sua personalità non ha bisogno appunto di decisivi e non mediocri cimenti?
E’ vero che tutte le sue doti sembrerebbero esaurite