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la frusta teatrale 107


non è superiore allo Zacconi e pare più misurato e più solido soltanto perchè è più superficiale e più preoccupato di evitare le intemperanti esagerazioni, ben lungi dalle sapienti analisi, dalle organiche comprensioni, dalla potenza del mistero e dei silenzi che sono caratteristici del vero attore tragico. La sua tragicità (vedi per esempio Al telefono, L’autoritario, Sperduti nel buio, L’animatore) è fatta di scontorcimenti, di smorfie, di muggiti. I momenti solenni sono sempre rappresentati da un aumento di tono nell’intensità dei movimenti e della voce; questa ci pare una concezione della tragicità un po’ troppo elementare; e se la semplicità può offrire dei conforti non riesce a far dimenticare la monotonia.

Siffatto abuso di mezzi permane fotograficamente identico e continuo. L’opera non viene mai studiata e approfondita, ma ridotta nello schema fatto; per esitare nella condanna si richiede molta candida volontà e gusto per le pacifiche figurazioni popolaresche.

Tuttavia la retorica ripetuta sino a sazietà offre anch’essa i suoi ripari, come uno spiraglio di luce.

La maschera declamatoria trova insperate serietà estetiche quando si chiarisca appena sensibilmente quell’elemento di sforzo di esagerazione che vi è connaturato.

Attraverso tale processo la tragicità vuota e inconcludente diventa vita e concretezza eroicomica, la contraddizione iniziale, fonte di falsità, di stasi, di luogo comune, diventa potenza di umorismo. Così nasce la commedia spontaneamente, embrionalmente, senza precisione di analisi nè comprensione cosciente, con il ricordo del compromesso da cui è sorta.

Nel Processo dei Veleni, nel Colonnello Bridau, in Ra-