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106 | p. gobetti |
fieri, ma in occasione del centenario (semel in anno licet insanire).
Egli ci appare, volendo trovargli misure appropriate, come il buon lavoratore all’antica che si sforza di continuare l’onesta sincerità degli attori-propagandisti del Risorgimento: come Zacconi, egli si studia di far conoscere i principii più inconcussi dell’igiene e della fisiologia, e, ove trattisi di funzioni sentimentali e di drammi intimi, si presenta sempre volentieri come il furbo generoso, spavalde ed eroicomico, che fa trionfare la buona morale cara al popolo. (Colonnello Bridau).
Intenzioni siffatte si sogliono chiamare oneste e serie. E noi non dubitiamo menomamente che corrispondano di fatti all’onestà del nostro attore, benchè non si possa non sorridere quando vi si vuol cercare un valore di eticità sociale, o anche soltanto un intento più lungimirante della cassetta.
Ma si dia come presupposto uno scopo pratico e lo si eserciti secondo una misura che supera la sua funzione, lo si affermi oltre quei limiti empirici che gli sono connaturati, attribuendogli un valore generale: questo si può definire declamazione. Dell’atto si è fatto uno schema, dell’originalità un’abitudine, della passione una retorica.
A questo sostanziale nucleo retorico il De Sanctis è vicino anche più di Zacconi. Perchè il verismo desanctisiano è rimasto fermo a una misura di convenzionalità sì che le forme declamatorie sono anche le più immediate e risapute; invece il verismo zacconiano s’è studiato di prendere aspetto scientifico e ha elaborato esperienze (sia pur soltanto fisiologiche) più varie. Come attore conscio della serietà dello svolgimento drammatico, il De Sanctis