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104 | p. gobetti |
parentesi di declamazione, sino a Novelli. Il suo ideale si appaga nella combinazione meccanica di uno spettacolo di decoro scenico, in cui i particolari e i personaggi si uniformino tutti ad una parca naturalezza, sì che egli vi possa giocare la sua parte di bell’effetto scenico, talvolta anche sforzando leggermente la sobrietà.
Accanto a Zacconi egli curava appunto l’insieme poichè l’esplicazione delle sue doti ha questa virtù, di non impedire nè diminuire l’attenzione che altri vicino a lui voglia svegliare. Armando Rossi infatti non interessa quasi mai il pubblico per la intensità del suo studio, lo diverte invece con la sua rumorosa giovialità, reca, pur rimanendo personaggio laterale, un tono arzillo di teatralità che non ha virtù di umorismo per rendere pensosi, ma si concilia le attitudini istrioniche nascoste nella sottile corruzione dello spensierato spettatore. Ciò è caratteristico della secolare inconcludenza e varietà del nostro teatro che si è singolarmente compiaciuto di coltivare le doti meno austere, e più esterne all’arte, dell’umana vanità.
Per esempio, nel Padrone delle ferriere Armando Rossi può disegnare con calore la sua particina caricaturale mentre il pubblico continua ad interessarsi agli effetti sentimentali che si vengono colorendo accanto a lui. È quasi la persistenza di un frammento di commedia dell’arte.
Altrove, come nella Passerelle o nel Campionissimo, egli conserva solo il dono della ridondanza farsesca o chiaccherona. Del resto i mezzi della sua comicità sono per lo più quelli stessi che sfoggia Zaccon nel Cardinal Lambertini, popolareschi, con una facile malizia dialettale, senza sottintesi: ma gli manca di Zacconi l’esuberan-